CAROL RAMA, LA BELLEZZA VICINA ALL’INTELLIGENZA


È morta da poco più di un anno Carol Rama, nella sua Torino, nella sua casa-studio di Via Napione, che presto diventerà una casa-museo. 97 anni, i lunghi capelli intrecciati sulla fronte, il viso segnato dalle rughe, da grandi dolori e dalla passione, unica vera grande costante della sua vita.

Descrivere la sua arte è impossibile: Carolina Rama era una vera outsider per stile di vita, per come parlava, per come e cosa creava. Tutto di lei era rivoluzionario, irregolare, innovativo. Un’artista tout court, romanticamente legata a un modello quasi bohémien. Una vita complicata la sua, costellata da dolori e traumi, che negli anni imparò a elaborare ed esorcizzare nell’unico modo che conosceva: creando. “Io dipingo per istinto e dipingo per passione, e per ira e per violenza, e per tristezza e per un certo feticismo, e per gioia e malinconia insieme, e per rabbia specialmente. I miei quadri piaceranno a chi ha sofferto”.

L’arte intesa come modo per leggersi dentro, quasi vomitando tutti i nodi, i magoni interiori: incubi, desideri, passioni, dolori e struggimenti, ma anche joie de vivre, stupore incondizionato per la vita, per la bellezza. “Il lavoro, la pittura, per me, è sempre stata una cosa che mi permetteva poi di sentirmi meno infelice, meno povera, meno bruttina, e anche meno ignorante… Dipingo per guarirmi”.

Una carriera di successi, di chiacchiere e di innovazione. Ma anche di grandi sodalizi intellettuali: Felice Casorati sarà la sua guida nei primi anni, il poeta Edoardo Sanguineti scriverà pagine memorabili sulle sue opere, Massimo Mila, Carlo Mollino sempre fonti di stimoli e idee nuove, il gallerista Luciano Anselmino le aprirà i contatti internazionali presentandole Andy Warhol e Man Ray. Per tutta la sua vita le sperimentazioni si intersecheranno e susseguiranno in maniera vorticosa, utilizzando tecniche sempre diverse: l’acquarello degli anni giovanili, la pittura a olio degli anni a cavallo della Guerra, la svolta astrattista degli anni Cinquanta, i “bricolage” degli anni Sessanta per concludersi con la svolta degli anni Settanta, in cui le sue composizioni si aprono a un nuovo materiale: la gomma, di camere d’aria e guarnizioni, applicata su tele monocrome quasi come se fossero pittura, ma conservando tutta l’incisività del loro essere materia. La gomma che si fa pelle e carne, e che riporta all’attività del padre, piccolo imprenditore che produceva anche biciclette. è degli anni Ottanta, il ritorno alla figurazione, che si affida a fogli prestampati e a corpi delineati da segni sicuri e mossi, alla Schiele. Fino alle ultime opere dei primi 2000, opere che ripercorrono, mescolano, innestano tutte le sue derive e direzioni.

Tante le mostre a lei dedicate, a partire dalla prima del 1945 leggendariamente chiusa dalla polizia ancora prima di aprire i battenti a causa dei contenuti scabrosi e provocatori, fino a quella attualmente in corso alla Galleria d’Arte Moderna di Torino, intitolata a ragion veduta “La Passione secondo Carol Rama”. Percorsi che attraversano la carriera di una figura essenziale nel panorama artistico italiano e internazionale, come dimostra il Leone d’oro alla Carriera assegnatole dalla Biennale di Venezia del 2003. Un riconoscimento significativo per una grande donna che ha fatto dell’arte un modo di vivere e di essere in maniera del tutto singolare, attraverso una pittura profonda come l’inconscio, mai allineata, mai omologata, sempre legata a doppia mandata alla sua profonda interiorità e alla quotidianità.

Il mondo del collezionismo internazionale di certo non poteva restare in disparte: il mercato la desidera, la cerca, e i collezionisti si fanno agguerriti e appassionati. Le quotazioni crescono esponenzialmente, segno inequivocabile che Carol è riuscita, percorrendo con la sua arte il Novecento, a trasmettere la sua passione per la vita, per la bellezza e la sua intelligenza di donna attenta, viscerale, inarrestabile.
di Francesca Benfante 

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