BARRIQUE? NO, GRAZIE. BARTOLO MASCARELLO E I SUOI BAROLO TRADIZIONALI


Quando ho iniziato ad avvicinarmi al mondo del vino, Bartolo Mascarello è stato uno dei primi a cui mi sono appassionata e il suo Barolo mi è rimasto nel cuore. Era l’inizio degli anni 2000, il periodo della prima edizione di Terrà e Libertà/Critical Wine al Leoncavallo di Milano voluta da Veronelli ed erano gli anni della contestazione ai cosiddetti “Barolo Boys” (dal film del 2014), un gruppo di piccoli produttori delle Langhe che tra gli anni ‘80 e ‘90 ha trasformato il mondo del Barolo e del vino italiano. Con loro, per la prima volta, il Barolo divenne internazionale, apprezzato oltreoceano e i prezzi delle bottiglie salirono repentinamente.

La “rivoluzione” dei Barolo Boys era fatta di innovazioni tecnologiche e enologiche, tra tutte l’utilizzo della barrique. Fu proprio questa scelta che suscitò polemiche e che scatenò una contrapposizione ideologica tra Modernisti (i Barolo Boys) e Tradizionalisti tra cui appunto Mascarello.

Bartolo, che in quegli anni non poteva più lavorare la terra, decise di dare il suo contributo alla lotta disegnando per il suo Barolo l’etichetta culto “No Barrique No Berlusconi”. L’etichetta era un’evidente presa di posizione verso una certa tendenza enologica e politica dell’epoca. La sua esperienza e la sua saggezza andavano però oltre gli schieramenti. L’idea dietro all’etichetta racchiudeva un pensiero molto più profondo di un semplice motto. Custodiva tutta la storia e la tradizione del Barolo in un periodo in cui sembrava che il vino potesse fare a meno del terroir. I Modernisti auspicavano di poter produrre in modo costante bottiglie in cui l’origine non avrebbe giocato un ruolo essenziale, soppiantata dal lavoro in cantina e dalla capacità promozionale.

Oggi diamo per scontato che questo non sia possibile ma Bartolo Mascarello lo aveva capito prima di tutti. Uomo di grande umanità e sensibilità, ha dato fino all’ultimo il suo contributo al mondo del vino trasmettendone quella cultura e quelle tradizioni della terra tramandate dal padre Giulio. La prima etichetta dell’azienda risale infatti al 1918 e da allora lo stemma del torrione, simbolo di famiglia, è sempre stato presente. Un altro tratto distintivo del suo Barolo è dato dall’assemblaggio dei quattro Cru di proprietà alla maniera langarola (e diversamente da come fanno i francesi) per raggiungere un equilibrio migliore e una maggiore armonia.

Scomparso nel 2005, tocca adesso alla figlia Maria Teresa portarne avanti l’eredità. Tre generazioni a confronto, ognuna delle quali ha apportato miglioramenti al lavoro svolto in precedenza. A distanza di anni crediamo che il messaggio di Bartolo Mascarello sia stato colto in pieno e trasmesso alle nuove generazioni di vignaioli. E non solo a loro. Tutto il mondo oggi sembra essersi accorto che il lavoro in vigna e il rispetto della tradizione e della terra alla lunga premi. Se guardiamo i risultati delle aste degli ultimi anni sono proprio i produttori storici come Mascarello, Giacosa e Conterno a essere i più richiesti e i più quotati.

Per quanto mi riguarda Bartolo Mascarello resterà sempre un punto di riferimento e la rappresentazione della tradizione, del libero pensiero e della passione. I suoi Barolo sono sempre stati emozionanti e oserei dire molto più moderni dei Modernisti, non per la sua tecnica ma per la sua lungimiranza e longevità.

di LUISA BIANCONI