IL CINEMA ITALIANO: DAL NEOREALISMO ALLA DOLCE VITA


Il cinema italiano ha passato varie stagioni di grandi successi, sia nazionali sia inter- nazionali, una di queste è il cosiddetto Neorealismo, un movimento spontaneo di autori che decidono di uscire dai teatri di posa e di narrare il quotidiano della gente. La Seconda Guerra Mondiale traccia un confine tra il vecchio e il nuovo anche nel cinema. Roma città aperta di Roberto Rossellini (ottobre 1945) è il film apripista di una nuova produzione italiana ispirata alla realtà quotidiana, e trova subito un acquirente americano che fa conoscere all’estero quella che sarà riconosciuta di lì a poco la nuova corrente neorealistica del cinema italiano. Dopo essersi dedicato alla guerra (Paisà, 1946) e al dopoguerra (Germania anno zero, 1948), Rossellini con il film Amore (1948) consacra Anna Magnani, sua compagna dell’epoca, a stella di prima grandezza in una doppia prova recitativa dove l’attrice dà il meglio di sé.
Vittorio De Sica, passato dietro la macchina da presa dopo un decennio di comme- die che lo avevano consacrato attore di successo, è considerato il precursore del movimento neorealista grazie al suo film intimista I bambini ci guardano (1943); nel dopoguerra approfondi- rà questi temi sociali con due capolavori del cinema italiano come Sciuscià e Ladri di bici- clette, grazie al sodalizio con Cesare Zavattini. Luchino Visconti è considerato anche lui un precursore grazie al suo film Ossessione (1943), girato nella bassa Padana in un ambiente sociale dove del fascismo non c’è alcuna traccia e con una storia avulsa alle direttive del regime, dove si parlava esplicitamente di adulterio e conseguente omicidio. Il suo successivo lungometraggio è La Terra Trema (1948/49), uno dei più concreti esempi di cinema neorealista, perché utilizza attori non professionisti, veri pescatori sici- liani che recitano in dialetto. Un’altra grande prova di regia Visconti la dà nel film Senso (1954), un raffinato affresco del periodo risorgimentale, dove una contessa italiana (Alida Valli), invaghitasi di un ufficiale austriaco (Farley Granger) arriva a dissipare il denaro che gli era stato affidato dai patrioti, per poi accorgersi di essere stata usata dall’amante.
Un altro assaggio di neorealismo lo troviamo negli ambienti che fanno da sfondo alla torbida passione di un giovane Vittorio Gassman per la mondina Silvana Man- gano nel film di De Santis Riso amaro (1949).
Michelangelo Antonioni esordisce col suo primo lungometraggio nel 1950, Cronaca di un amore, una storia ambientata nella Milano bene, dove i sospetti di un marito benestante portano la moglie (Lucia Bosé) a ritrovare una vecchia fiamma (Massimo Girotti) e a concepire con lui l’assassinio del marito.
Nel 1952 Alessandro Blasetti inaugura il filone dei film a episodi con Altri tempi, dove Aldo Fabrizi nelle vesti di libraio di strada da lo spunto d’inizio ai vari episodi, tratti dalla letteratura d’inizio secolo.
Il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, ancora diviso tra palcoscenico e set ci- nematografico, nel dopoguerra diventerà il mattatore del cinema comico, con scarsi successi di critica e di contro grandiosi successi al botteghino, tra commedie leggere come Il ratto delle Sabine (1945) e capolavori d’autore come Risate di gioia (1960), unico film realizzato con Anna Magnani, sua partner teatrale nelle riviste di successo degli anni ’40.
Il 1960 è l’anno che vede la nascita di vari capolavori del cinema italiano, da L’Avven- tura di Antonioni a Il bell’Antonio di Bolognini, Rocco e i suoi fratelli di Visconti, La Ciociara di De Sica, però il film che lascerà una traccia indelebile e farà ancora una volta da spartiacque tra il vecchio e il nuovo è La dolce vita di Federico Fellini, un film complesso che analizza nel profondo i mutamenti che stanno avvenendo nella società italiana alle soglie del boom economico, ben descritti poi tre anni dopo nel film omonimo (Il Boom) della coppia De Sica/Zavattini. 
Di Armando Giuffrida