L'INTELLIGENZA VISIVA DI MARIO GIACOMELLI


Sono pochi i fotografi che, come Mario Giacomelli, hanno saputo ottenere dalla carta fotografica una tale ricchezza di segni e di significati. Il bianco e nero di Giacomelli è incisivo, denso, riempie le forme, esalta i chiari per contrasto con gli scuri. Un'autonomia di linguaggio che lo ha portato a discostarsi dai grandi maestri, soprattutto americani, cui i nostri autori hanno sempre guardato. Le opere del Fotografo Marchigiano oggi si trovano in tutte le grandi collezioni internazionali e senza dubbio è il fotografo italiano più conosciuto e apprezzato all’estero. Per questo varrebbe la pena ripercorrere la sua carriera artistica per comprendere come un uomo di modesta cultura che mai si è mosso dal suo piccolo paese natale, Senigallia, abbia potuto raggiungere un tale successo.

Giacomelli cresce in un famiglia indigente, ha tre anni quando il padre contadino muore lasciando una vedova con tre figli, il lavoro diventa quindi una priorità rispetto alla scuola. Dopo essersi dedicato a vari lavoretti riesce ad aprire una tipografia, che sarà la sua grande passione insieme alla fotografia. Malgrado le difficoltà economiche Giacomelli è curioso, dipinge, scrive, si interessa di poesia. La madre per sostenere la famiglia fa la domestica presso una ricca e colta famiglia del luogo, i Cavalli. In questa piccola città, senza particolari attrattive, il dibattito fotografico, pur limitato a un piccolo gruppo, è quanto mai vivace, per tutti il riferimento è Giuseppe Cavalli, avvocato, uomo di lettere e conoscitore di musica. Quest’ultimo dà vita nel 1947 al gruppo “La Bussola” insieme ad altri amici fotografi. Per Cavalli non è il soggetto ad avere importanza bensì la composizione, il valore dei grigi e dei bianchi, l’utilizzo dello spazio.

La Bussola iniziava però ad essere un po’ stretta per i giovani fotografi che come Giacomelli si avvicinavano alla fotografia con idee nuove. Viene così creata nel 1954 la “Associazione Fotografica Misa”, gruppo, di cui Giacomelli diventa cassiere, con il duplice compito di aggiornare le idee e le linee programmatiche seguite fino allora in campo fotografico. Così Giacomelli descrive il Misa “Un gruppo libero dalle polemiche in atto tra formalismo e neorealismo in cui ognuno parlava il proprio linguaggio, con umiltà di fronte al soggetto, liberi da ideologie politiche, pensando all’amicizia, al dialogo, al rispetto di ognuno di fronte alla realtà”. Cavalli continua comunque a condizionare il mondo della fotografia con la sua autorità ormai indiscussa. Giacomelli senza entrare in collisione con il maestro ne tiene le distanze e si dedica ad una sua ricerca autonoma “Il mio interesse personale è sempre stato l’uomo. Anche i paesaggi per me sono il ritratto degli uomini che li creano”.

I paesaggi
Il tema del paesaggio, che ha impegnato Giacomelli in una ricerca trentennale, fonte inesauribile di investimento creativo, è un soggetto che il fotografo riesce a rinnovare a ogni nuova immagine. Il critico Racanicchi descrive questi lavori “Dove Giacomelli esplode in tutta la sua pienezza di artista è nel paesaggio. Qui l’intelligenza visiva di questo fotografo si sposa ad un sentimento lirico tra i più alti della fotogra- fia mondiale, per darci prove di immenso valore e squisita fattura. In un contrasto tonale violento, tale da adulterare la consistenza fisica delle cose ritratte, i paesaggi di Giacomelli si presentano a noi per frazioni e settori, macchie e toni, ora duri e scabri, ora segnati da tratti densi e incisivi, a significarci la trasposizione precisa di particolari stati d’animo nelle immagini ritratte. I paesaggi di Giacomelli rivivono nella loro accentuazione chiaro-scurale, nell’isolamento del taglio, nell’assenza di particolari decorativi e di contorno il sentimento intenso del loro artefice, la forza dell’inquietudine, la malinconia di antichi ricordi”. La novità del lavoro di Giacomelli va ricercata nella sua capacità di rinnovare un tema tanto ricorrente nella storia delle arti visive come il “paesaggio” dandone una restituzione fotografica astratta.

Io non ho mani che mi accarezzino il viso
In questa serie, tratta da un brano di una poesia di David Maria Turoldo, le immagini descrivono, in contrapposizione con il titolo vagamente esistenzialista, i momenti della ricreazione in un seminario. Scrive Antonella Russo “ Le varie immagini di pretini che si appassionano a giochi infantili ci rendono complici di situazioni umanissime come quella del lasciarsi prendere dal gioco, trasgredire la pace del luogo, illustrandoci visivamente il piacere di sospendere inibizioni e proibizioni, di trasgredire. Sono queste le fotografie più briose e spiritose di Giacomelli e che facilmente si trattengono nella memoria grazie alla loro grafica basata sulla predominanza dello sfondo bianco che controlla e sottolinea il contorno delle figure scure”.

Scanno boy
Questo scatto, appartenente alla serie “Scanno” realizzata tra il 1957-59 nel paese abruzzese è, insieme alle fotografie dei “Pretini”, tra le immagini più note del maestro marchigiano. La fama internazionale di questo lavoro è legata al nome di John Szarkowski, direttore del Dipartimento di Fotografia del Museo d’Arte Moderna di New York, che decise di acquistarla per la collezione permanente. “La fotografia di Mario Giacomelli è un disegno di forme scure su un fondo scuro, che ruotano intorno ad un ragazzino che lievita all’interno dell’alone del sentiero battuto … Sembra in realtà improbabile che l’intelligenza visiva di un fotografo possa essere tanto acuta da riconoscere in un tale breve e plastico istante il significato pittorico dell’azione che si svolge nel palcoscenico profondo dinnanzi alla lente”

Di Silvia Berselli