PREGHIERE PREZIOSE


A partire dalla fine del Trecento le abitazioni civili in Europa cominciarono a essere arredate con mobili di svariate tipologie, creati per poter rispondere adeguatamente a ogni tipo di esigenza che la vita borghese e cittadina suggeriva. Fino al XIII secolo il mobile principale era il cassone, lungo e capace parallelepipedo in legno con piano superiore ribaltabile, usato durante il giorno come contenitore per cibo e biancheria, come supporto su cui dormire la notte e infine come ultimo definitivo giaciglio al termine dell’esistenza. Con l’aumentare del benessere esso assunse forme diverse, acquisì nel tempo cassetti, ante, decorazioni scolpite e intarsiate e nacquero così le credenze, i doppi corpi, i canterani. ogni funzione della vita quotidiana veniva accompagnata da un particolare arredo che nel volgere di poche decine d’anni acquisiva forme specifiche ben precise. già dal XVI secolo i mobili erano così ben caratterizzati che è ormai abbastanza agevole riconoscere la produzione di arredi di una nazione, perché ogni scuola di falegnameria aveva i propri modelli, legni e proporzioni. 

Così, anche la semplice e intima funzione di pregare dio, richiese un apposito mobile. gli artigiani non si lasciarono sfuggire questa ghiotta occasione di inventare qualcosa di adeguato alla sacralità della richiesta. Fino a tutto il Trecento (lo vediamo negli esempi di pittura a fresco o su tavola) la devozione era fatta semplicemente inginocchiandosi a terra o tutt’al più su un cuscino. Nel XV secolo cominciarono ad apparire gli arredi creati appositamente a questo scopo; i primi esempi erano costituiti da una base e da un corpo verticale, realizzati con assi sagomati. L’inginocchiatoio (o prega dio) tradizionale è basicamente costituito da un gradino, a volte mobile, sul quale inginocchiarsi, e da un piccolo ripiano (alzata) su cui posare le mani conserte in preghiera. Questo ripiano consente anche di appoggiare il testo di preghiera senza essere obbligati a sostenerlo con le mani. Man mano il corpo verticale viene arricchito da cassetti e scomparti, a tal punto che in epoca barocca diventa un vero e proprio pezzo di bravura per ebanisti, scultori, pittori che impiegano a profusione sculture in legno e bronzo, dipinti, intarsi in legni e materiali pregiati e acquisisce, nelle più ricche abitazioni delle varie regioni-stati dell’Italia sei-settecentesca, lo status di mobile tra i più prestigiosi da possedere e porre all’ammirazione di amici e famigli, e non solo per dimostrare la particolare devozione dei committenti. Ne conserviamo ancora pochi bellissimi esempi eseguiti da grandi artisti di roma, Napoli, Firenze, Milano, Venezia, tutti molto diversi tra loro, ma accomunati da un’identica ricerca della qualità esecutiva e della fantasia compositiva. 

Ovviamente anche il giovane regno di Sardegna di Carlo Emanuele III (Torino 1701 - 1773) dovette adeguarsi alla moda dilagante negli altri stati cattolici. Così gli ebanisti della corte torinese, piffetti e prinotto, furono più volte incaricati di svolgere, secondo la loro abilità e fantasia, questo tema. Il più antico esempio giunto a noi consiste nel cosiddetto ‘pregadio di carlo alberto’ costruito nel 1732 da Luigi prinotto (Torino 1685 ca – 1780) e che occupa completamente una minuscola stanza al primo piano del palazzo reale. Al centro della parete è collocato l’inginocchiatoio vero e proprio, in legno di noce e viola con intarsi in avorio e madreperla, sei gambe sagomate, che supportano un piano mistilineo, un’alzata con vano e molteplici cassetti su cui poggia un bellissimo crocefisso (di piffetti). Tutt’intorno sulle altre pareti sono applicate una serie di pannellature e scaffali, altrettanto preziosamente intarsiati, entro cui riporre libri e oggetti sacri. Naturalmente Carlo Alberto lo usò nella prima metà dell’ottocento, quando abitò quella parte di palazzo reale, ma originariamente era stato eseguito per la regina polissena d’Assia-rotenburg. Molte altre stanze-pregadio furono eseguite poi dal grandissimo pietro piffetti (Torino, 1700- 1777) per le tutte le dimore sabaude, tra il 1735 e il 1750. Splendidi esempi sono conservati ancora a palazzo reale, palazzo Madama, la palazzina di caccia di Stupinigi. Accanto a questi esempi aulici, piffetti, prinotto e pure altri, meno importanti ma non meno abili, ebanisti piemontesi costruirono numerosissimi esempi di inginocchiatoi di forma più semplice e contenuta, mobili da parete formati da una predella ribaltabile, un’anta nel corpo centrale e un cassetto sotto il piano superiore. Si può affermare che nel XVIII secolo non c’era camera da letto che non avesse almeno uno di questi arredi. potevano venire costruiti da un semplice menusiere (falegname) di provincia in legno di frutto o in noce oppure da un ebanista di città con larga profusione di legni pregiati, intarsi e sculture. 

In un'asta tenutasi a Londra nel 2007 degli arredi di S.A.r. la principessa Maria gabriella di Savoia, il lotto 215 era costituito da: “...a royal piedmontese ivory-inlaid kingwood, burr-walnut, burr-elm and fruitwood marquetry prie dieu. attributed to pietro piffetti, turin, circa 1730... with a green painted inventory mark to the back inscribed ‘p.p.r’ and indistinctly numbered ‘6721’. provenance: castello reale di racconigi, turin...” Con molta correttezza e prudenza la casa d’aste suggerì solo l’attribuzione al piffetti, pur avendo la certezza di una diretta provenienza reale, ulteriormente rafforzata anche dall’acronimo dipinto sul retro (p.p.r. cioè proprietà palazzo racconigi) che ne certifica la collocazione ottocentesca. 

Piffetti fece molti mobili pressoché identici tra loro nella struttura lignea di supporto, ma sappiamo che era per lui punto d’onore modificare sempre la decorazione in legni vari e materiali preziosi intarsiati e applicati. Si veda a conferma di ciò la serie di quattro grandi consolles (due al museo civico di palazzo Madama, una della Compagnia di S. paolo, la quarta al Victoria and Albert Museum) o i due superbi doppi corpi (uno al museo Accorsi-ometto l’altro al Quirinale) ognuno dei quali varia a livello decorativo in maniera sostanziale rispetto all’omologo similare.

Anche dell’inginocchiatoio della principessa Maria gabriella esiste un esemplare pressoché identico che verrà posto in asta il 23 aprile 2015 dalla casa d’aste bolaffi a Torino. Identico nella forma e nelle dimensioni, nella campitura degli spazi, nella scelta del soggetto della scena intarsiata sul piano superiore, varia invece nella scelta di alcuni particolari. Soprattutto viene arricchito da eleganti volute in avorio inciso a motivi floreali sul piano inferiore, sul portello anteriore, sui montanti e sul piano superiore. radica di noce, lastronature in legni di rosa e di viola sono sapientemente applicate entro nervose volute di bosso per decorare con contrasti anche cromatici l’intero mobile. In una voluta in avorio è incisa a bulino l’iscrizione “petrus pifeti fecit”, ma è più corretto pensare che non sia coeva, probabilmente apposta in epoca successiva per attribuire con certezza al maestro questo lavoro. La scena intarsiata su entrambi gli inginocchiatoi rappresenta un angelo con un calice in mano che si accosta a gesù, in preghiera nell’orto dei getsemani. Si riferiscono al passo del Vangelo di Luca (22, 41-43) :”...poi si allontanò da loro quasi un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: «padre, se vuoi, allontana da me questo calice! tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo...” 

Più volte è stato dimostrato, che i grandi ebanisti del XVIII secolo erano soliti copiare le scene da intarsiare sui mobili, dalle stampe di maestri antichi o coevi. Ad esempio piffetti usò sovente i disegni di Jacques Stella incisi nel volume “les jeux et les plaisirs de l’enfance”, pubblicato a parigi nel 1657, prinotto usava regolarmente i disegni di pietro domenico olivero, bonzanigo faceva grande uso dei suggerimenti di piermarini, così come Maggiolini di quelli di giocondo Albertolli. E’ assai probabile che uno studio attento dell’iconografia delle due scene potrebbe rivelare il nome di uno (o due) artisti autori dei dipinti o disegni originali, poi intarsiati in avorio. 

Di Gianfranco Fina